domenica 22 maggio 2016

CURARE L’IPEROLORDOSI CON IL PILATES

COSA È IL PILATES

Il pilates, sebbene prenda ispirazione dalle discipline Orientali, nasce in Europa, dall’idea di Joseph Pilates, tedesco di origini greche.
Questo metodo di allenamento si basa sulla Contrologia, ossia la capacità della mente di assumere il completo controllo e avere la perfetta padronanza del movimento del corpo.
Questa competenza che richiede un alto grado di concentrazione, può portare a grandi benefici, soprattutto dal punto di vista della salute fisica.



Un elemento fondamentale per svolgere ogni compito della vita è l’equilibrio, un equilibrio che può essere compromesso dalla debolezza della forza muscolare o da movimenti errati degli arti inferiori. Sono stati condotti alcuni studi sugli effetti del Pilates su soggetti con queste problematiche: gli esercizi sono stati svolti per 8 settimane, 3 volte alla settimana e nell’arco di un’ora lo stesso esercizio è stato ripetuto 10 volte.

Secondo i risultati, 8 settimane di esercizi di Pilates permettono di rafforzare il sistema immunitario e sviluppare la flessibilità e l’equilibrio; inoltre hanno il beneficio di aumentare la funzione respiratoria, rafforzare il sistema cardiovascolare, aumentare il range di movimento delle articolazioni e dei muscoli.

È particolarmente interessante scoprire come questo allenamento possa aiutare coloro che soffrono di problemi di iperlordosi lombare dove si verifica l’anomala curvatura verso l’interno delle regioni lombari della colonna vertebrale.  Le persone con iperlordosi lombare non riescono a camminare in posizione verticale e tendono a spostare il proprio peso sui talloni. Le cause di questo malessere sono svariate: l’inattività, l’uso di scarpe scomode, una cattiva postura,… 
Secondo le ricerche le anomalie fisiche hanno effetti negativi sulle prestazioni del sistema cardio-vascolare. Sistema di circolazione del sangue, del sistema nervoso centrale, dei muscoli; per questo la colonna vertebrale, che ha un ruolo cruciale, non può e non dev’essere trascurata.


Il Pilates ha oltretutto ulteriori finalità: esso è volto a migliorare il controllo muscolare (muscoli addominali, lombari, diaframma, pelvico e glutei) e l’equilibrio, mantenendo una postura corretta del corpo, ripristinando quindi la corretta bio-meccanica del corpo, e promuovendo la stabilità della colonna vertebrale.

Studi e ricerche hanno dimostrato, confrontando i risultati pre-test e post test significative  diminuzioni dei livelli di lordosi lombare nei soggetti che hanno effettuato esercizi di Pilates.



Bibliografia:
·      Siahtan S.M., Behbudi L., (2015). The Impact of 8-week Select ed Pilates Exercises on Lordosis Correction and BMI in Femal e Teens aged 15-18. Biological Forum. 7.1, 1267-1271;
·      Ostadhassan B.M., Sokhanguei Y., Saboonchi R., (2015). The Effect of Pilates Exercises on Body Posture and Some Fitness Factors in Educable Mentally Retarded Subjects. Biological Forum. 7.1, 1272-1276.


Martina Varalli


giovedì 10 marzo 2016

LA PEAK EXPERIENCE:

LA PEAK EXPERIENCE

UN'ESPERIENZA CHE CI AVVICINA AL NOSTRO SE'


Questo concetto fu introdotto da Maslow nel 1968 e fa riferimento a quell’esperienza di particolare euforia e benessere che si può vivere in alcuni momenti di estrema felicità. E’ una esperienza che aiuta le persone ad entrare in contatto profondo con delle qualità fondamentali della vita, qualità delle quali spesso non si è consapevoli e che è difficile condividere.
La peak experience fu utilizzata da Maslow nel 1954 all'interno del pensiero complesso di "Piramide dei bisogni" nella quale egli diede una spiegazione del percorso di autorealizzazione e dove questo nuovo concetto costituendo un aspetto centrale di tale pensiero.
 Secondo Maslow la peak experience  era parte indissolubile “dell’auto-realizzazione”. Egli ne ha dato la seguente definizione nel libro Verso una psicologia dell’essere nel 1968:

…un episodio o un’improvvisa ondata, in cui tutte le potenzialità di una persona scorrono insieme in modo particolare, orientato all’obiettivo ed intensamente gratificante, nel quale la persona è più integrata e meno scissa, più aperta all’esperienza, maggiormente mossa dalla sua specifica natura o disposizione, più spontanea ed espressiva, più pienamente funzionante, più creativa, umoristica, ego-trascendente, meno dipendente dai suoi istinti più bassi, ecc. In questi momenti l’individuo diventa più pienamente se stesso, più forte nella realizzazione delle sue capacità, più vicino all’essenza del suo essere, più pienamente umano…
Spesso questa sensazione di flusso prepara alla peak experience successiva, anche se può essere una esperienza presente di per se stessa nella nostra vita quotidiana.  Le caratteristiche della peak experience sono abbastanza conosciute da essere raccolte in un elenco definito.


Quali sono le caratteristiche dell'experience peak?


1. Variazione nella percezione del tempo che sembra fermarsi o espandersi all’infinito, rallentare, o al contrario, accelerare.
2. Cambiamento o distorsione della percezione dello spazio, cambiano le dimensioni fisiche o le forme; ad esempio, una buca da golf diventa improvvisamente grande come una vasca da bagno in modo che non la si può mancare. L’esperienza diventa ‘incorniciata’, sembra emergere dal contesto in un forte campo energetico.
3. Avvengono cambiamenti in tutte le percezioni sensoriali, nella vista, nell’olfatto e nel suono. Tutti i sensi diventano più sensibili. I colori possono cambiare e diventare più brillanti; un albero ricoperto di neve può ‘cambiare’ il suo colore in verde brillante; un silenzio può diventare udibile e la vista può aguzzarsi.
4. L’esperienza è percepita come la rottura di un confine, o come l’espansione di quest’ultimo, anche se non conduce a una medaglia d’oro e non è in gioco una prestazione vera e propria.
5. Le persone affermano di aver avuto un’esperienza transpersonale, di trasformazione o religiosa. Sono stupite; si sentono come se avessero raggiunto l’obiettivo della loro vita e lo esprimono come ‘se morissi proprio adesso, andrebbe bene così’.
6. Il corpo è sempre coinvolto nell’esperienza, ma ci può anche essere una mutata percezione delle sensazioni o dei movimenti. Gli individui descrivono spesso questa esperienza con i movimenti delle mani e delle braccia, proprio per mostrare l’espansione – qualcosa di grande, più grande di loro.
7. Le sensazioni che accompagnano l’esperienza sono la morbidezza, l’amore, la felicità, la semplicità, l’integrità, la grazia del corpo (che indica anche la mancanza o l’assenza di paura). Le persone ricordano sempre una parte dell’esperienza in modo molto chiaro, come ‘una scintilla’; almeno una parte spicca in modo molto chiaro, non importa quanti anni prima sia accaduto.
8.  Una peak experience non è facilmente condivisibile; di solito è vissuta come qualcosa di unico. Quando nessun altro assiste a questa esperienza, molti si sentono soli o isolati con essa, a volte addirittura bloccati.
9. C’è un senso interiore di significato profondo, come se si fosse ricevuto un ‘messaggio’, si sente la direzione della vita, la sua essenza; si sente una voce che parla alla persona coinvolta.
10. L’attività in cui rientra la peak experience è spesso orientata a uno scopo.
11. L’esperienza coinvolge un livello molto alto di energia o uno stato di carica elevata sia psicologicamente che nel corpo.

Interessa la Peak experience? Allora vieni a conoscere il concetto di flow

http://equilibriopsicologiasport.blogspot.it/2016/03/flow-e-meditazione.html

ALLENARE LA MENTE, NON SOLO IL CORPO

“Una volta conseguito un discreto livello di preparazione fisica, tutto il resto sta nella mente”.
                                   Nick Faldo

Allenare gli aspetti mentali di un’atleta ormai è un fattore fondamentale per raggiungere i propri obiettivi.


Il binomio mente corpo è consolidato dai tempi degli antichi che già avevano colto l’importanza di saper lavorare in armonia incrementando sia il fisico sia la mente di una persona. L’armonia richiama l’equilibrio, la pace con sé stessi quindi per rendere oltre i propri limiti per un atleta professionista e non, c’è bisogno di allenare con cura e costanza anche la fase mentale dello sport. 
Ormai nello sport professionistico allenare il corpo non basta più, bisogna allenare in modo costante e ottimale anche la fase mentale.

In che modo? 

Per esempio utilizzando tecniche di visualizzazione, il self talk, oppure attraverso l’ausilio delle ultime tecnologie come la realtà aumentata o la realtà virtuale. Gli aspetti mentali influenzano moltissimo la prestazione sportiva attraverso il livello della motivazione in ciò che si sta facendo, nell’autostima e nell’equilibrio con sé stessi, raggiungibile attraverso il biofeedback che serve per automonitorare il proprio corpo a seconda dei segnali che ci invia. 


Uno sportivo vive sempre dei momenti decisivi dove a volte il corpo è stanco ma la mente dev'essere lucida e controllare minuziosamente il corpo affinché riesca nel proprio corpo. 

Come fa un giocatore di basket a tirare all'ultimo secondo di una partita sapendo che se sbaglia la partita andrà persa, e se invece farà canestro la sua squadra vincerà?

Come fa un tuffatore all'ultimo tuffo a realizzare tutta la sequenza in modo corretto tenendo a mente tutti i passaggi che deve eseguire?

Come fa un golfista a essere tanto concentrato nel colpire una pallina o un tennista a rimanere calmo durante un tie-break?

Non è solo una questione fisica, è soprattutto una questione mentale. La testa fa tutto, il controllo della mente sul corpo fa la differenza tra i campioni e coloro che sono forti ma non arriveranno mai a vincere sempre ed essere determinanti per le loro sorti sportive. 

Prendo come esempio Micheal Jordan, il più forte giocatore di tutti i tempi di basket, non solo per la tecnica ma soprattutto per la sua grandissima tenacia e perseveranza nella ricerca della perfezione. Qui di seguito troverete il video della sua ultima azione con la quale consegno la vittoria del titolo NBA del 1998 ai suoi Chicago Bulls contro gli Utah Jazz.
Buona visione!




Alberto Fiaschè





bibliografia:


  • Binari S., Psicologia dello sport – una visione strategica, ed. Bradipolibri, 2013
  • Cei A., Psicologia dello sport, il Mulino, 1998









LA MOTIVAZIONE: LA SPINTA AL SUCCESSO

La motivazione può essere definita come
“un insieme strutturato di esperienze soggettive che spiega l’inizio, la direzione, l’intensità e la persistenza di un comportamento diretto ad uno scopo.”
De Beni e Moè



L’origine del processo motivazionale può essere sia interno sia dovuto a stimoli ambientali esterni, ma in ogni caso si esplica interiormente per poi tradursi negli atteggiamenti dell’individuo in questione.
 Essa è soggettiva perché interna ma può essere esplicitata attraverso il comportamento, che è un fenomeno osservabile. È doveroso distinguere i comportamenti motivati, che dipendono dalla consapevolezza di raggiungere uno scopo ben preciso per il soggetto, dai comportamenti passivi che sono quelli che si presentano in conseguenza a un vincolo; questa differenziazione è stata approfondita nella teoria dell’autodeterminazione sviluppata da Ryan e Deci (2000). 

Gli autori sostengono che vi sia un continuum tra l’assenza motivazionale e la piena motivazione intrinseca, dove l’assenza può essere spiegata con il termine “devo” mentre la piena motivazione può essere spiegata con il termine “voglio”. È chiaro che nel primo caso il soggetto agisce controvoglia mentre nel secondo vi sono stati emotivi positivi. Un’altra caratteristica della motivazione è che non si traduce sempre in comportamenti, come nel caso delle aspirazioni o di quelle ambizioni che non si realizzano concretamente e questo influisce di conseguenza anche sul livello di consapevolezza delle persone su ciò che le spinge ad agire o meno. È fondamentale saper controllare le proprie motivazioni perché ciò permette di poterle usare come ausilio per altri processi, perché in questo modo possono anche essere migliorate nel tempo. Infine è importante delucidare che le credenze motivazionali se sono a base genetica sono stabili nel tempo mentre non sono tali se hanno una base cognitiva. 

I sistemi motivazionali si fondano su disposizioni innate, selezionate dai processi evoluzionistici, biologicamente volte a organizzare il comportamento verso il raggiungimento di scopi specifici. Essi ci portano ad agire con il fine di modificare il rapporto tra sé e l’ambiente (fisico e relazionale) in modo vantaggioso alla sopravvivenza (individuale e della specie).

Le motivazioni si dividono a seconda della loro origine che si dividono tra INTRINSECA o ESTRINSECA.

La motivazione INTRINSECA è caratterizzata da una spinta interna, che muove il soggetto a raggiungere un determinato obiettivo per soddisfare un bisogno di appagamento nel soggetto, esempio voler vincere un campionato per il coronamento di un sogno.
La motivazione ESTRINSECA invece è una spinta che proviene dal mondo esterno, per esempio da parte di terzi che al nostro raggiungimento di un determinato obiettivo ci premia, esempio il voler vincere un campionato per poterne incassare più premi economici.



bibliografia:
    La motivazione; A.Moè; Il Mulino, 2010, Bologna.



Alberto Fiaschè